Il cavallo rosso, romanzo di Eugenio Corti

Dopo anni di relativo silenzio, lo scrittore Eugenio Corti — che è nato e vive in Brianza — ritorna alle stampe con un’opera poderosa e sorprendente: un romanzo che raccoglie le idee, i fatti, le vicissitudini di due generazioni di italiani, dal 1940 alla battaglia dei cattolici contro il divorzio.

L’arco di questo tempo è popolato, nel lungo racconto di Corti, soprattutto da uomini e donne della Brianza cattolica, che, consapevolmente o no, testimoniano in tutte le situazioni il loro ideale cristiano. Abbiamo accennato al carattere sorprendente di quest’opera: romanzo storico e diario spirituale dell’autore, frutto di oltre dieci anni di fatiche, esso non si riannoda a nessuna scuola del Novecento letterario italiano. Piuttosto può trovare analogie con I miserabili di Victor Hugo oppure con la grande vicenda manzoniana.

Esso, nelle sue 1280 pagine, riporta finalmente in prima linea, sul piano delle idee, la cultura cattolica tanto vilipesa e sminuita, negli ultimi decenni, dall’organizzazione gramsciana della cultura italiana. (Eugenio Corti, Il cavallo rosso, Edizioni Ares, Milano, L. 24.000). Corti non è autore che si pieghi a compromessi intelligenti per piatire gli allori dalle avanguardie. Non china la schiena alle chiamate delle utopie ideologiche e politiche che hanno fatto sorgere in Europa e nel mondo i gulag e i cimiteri della perversione della ragione, gabellata per moderna razionalità del pensiero.

La sua linea di partenza è una terra severa e gioiosa a un tempo. Tra i verdi colli pariniani e i luoghi manzoniani egli raccoglie una tradizione di moralità dalla carne viva degli uomini e la trasfonde, con una scrittura lineare e realistica, nei suoi personaggi, impegnati, senza scavi psicologici, a vivere la condizione umana da cristiani, e quindi da uomini buoni. Ambrogio, Michele, Manno, Stefano, Pierello, Gerardo, Giustina, Alma, Marietta e tanti altri sono nel romanzo esseri interi, protagonisti di una vicenda che li porta a testimoniare, lungo le vie disegnate dagli uomini e dalla Provvidenza, l’essenza metafisica delle loro anime, nel dolore e nella fatica che il mestiere del vivere a tutti impone.

Da Nomana, luogo dal quale si dipartono i grandi rivoli del racconto, il lettore accompagna i personaggi verso le vicende tremende della guerra, lungo le bianche distese della Russia, ove uno di loro, Michele che ha la vocazione della scrittura, mette a confronto la propria fede con l’utopia feroce della Rivoluzione. Occorre conoscere, vedere, riflettere intorno all’ideologia dell’ateismo che si è impiantata nell’Europa orientale e valutare il cozzo tra il neo-paganesimo nazista e la sua contrapposizione marxista. Il risultato di queste osservazioni è realtà colta nel sangue, razionalità metallica dell’ideologia che annienta gli uomini in obbedienza a un sogno perverso di rigenerazione.

Michele, Ambrogio, Stefano, Pierello (e l’autore stesso) si trovano nel vortice della distribuzione, e la pratica quotidiana della preghiera a Dio e ai propri angeli custodi li salva dalla disumanizzazione, conferendo a loro, poveri esseri chiamati a compiere un dovere, la dignità della testimonianza spirituale ed umana. Corti è grande nell’illustrare tali comportamenti senza retorica e senza diretta intenzionalità. Disegnando la mappa principale del racconto, egli raccoglie personaggi, fatti e situazioni nell’alveo di un comune destino fondato sulla speranza. Consapevole degli effetti malvagi del peccato d’origine, misura le responsabilità di ognuno rispetto all’idea e alla pratica del bene. Non giudica e non condanna, se non l’irrazionalità del peccato che si abbevera alle idee distorte dell’umanesimo ateo del nostro secolo.

La solidarietà umana e la comunità cristiana sono la realtà e l’idea che egli coglie a Nomana, nell’insegnamento dei pastori e dalla tradizione cattolica della gente. Questa misura dell’essere si riverbera poi in tutte le situazioni del romanzo: italiani, tedeschi, polacchi, russi, in tutti fa rivivere i momenti della bontà come idea incarnata nella fede religiosa, eco dell’Europa cristiana che il nostro secolo minaccia col veleno delle ideologie. Come i cerchi concentrici di uno stagno, i suoi capitoli ruotano attorno ad un asse fisso, ad un ordine delle persone e delle comunità che va preservato dalle insidie molteplici della distruzione.

La Brianza protoindustriale e contadina di quarant’anni or sono è il modello di una società cristiana che la cultura laicista e marxista minaccia nella sua integrità: non si tratta di parole o di esplicite professioni di fede, quanto di una realtà che supera gli eventi storici e giunge sino a noi per confermare la possibilità di vivere da «uomini integrali» al cospetto di una Trascendenza che è luce agli esseri e alle cose. Non isola felice, ma punto di partenza sempre rinnovantesi verso gli approdi del lavoro e del sacrificio.

Manno e Alma incarnano questi ideali civili e morali, e nel romanzo sono accompagnati dall’umiltà di gran parte dei protagonisti, al cospetto umano, di altri che nella realtà italiana dei decenni appena trascorsi, inseguono i sogni del successo personale o le linee distorte della dissacrazione. Troppo lungo sarebbe tracciare il quadro di questo romanzo che, nella sua semplicità, assomma tutta la storia recente (religiosa, morale, culturale, politica) del nostro paese. Il lettore si troverà incantato a seguire le vicende dei suoi personaggi, con una lettura che non dà fiato, non permette una sosta, perché appare chiara e vera come la vita vissuta. Anche se essi (i protagonisti, e lo stesso autore nei solidi riverberi autobiografici) possono apparire oggi come i perdenti, resta l’espressione di un messaggio che dalla letteratura passa alla vita, per i tempi bui che ci attendono.

Nella trilogia che compone il racconto: Il cavallo rosso, Il cavallo livido e L’albero della vita, l’intreccio appare letterariamente armonioso e in esso traspaiono le doti di solida cultura dell’autore. Un modo di fare letteratura che credevamo ormai inattuabile in Italia, dopo l’ondata di psicologismo nevrotico e di pansessualismo che ha deturpato opere, autori e lettori nell’ultimo decennio. Una domanda ora s’impone: Il cavallo rosso è il segno di una possibile rinascita degli spiriti, oppure un libro che appare il sigillo definitivo a un’epoca?

Giudicheranno i lettori, più che i critici, poiché la componente popolare che anima le pagine di Corti fa appello alla coralità sociale della gente che vive e opera in questo ottavo decennio di secolo. Senza sofismi e privo di retorica, questo romanzo costituisce, nella sua cattolicità, un albero piantato al centro delle nostre speranze e delle nostre attese. E siamo certi che esso darà solidi germogli per il nostro domani di fede, di moralità, di cultura sociale e politica.

(Mario Marcolla, 1983, I Quaderni della Brianza)